A volte ritornano: i camperos

Non so se la notizia vi farà felici oppure (come è successo a me) vi farà stramazzare al suolo: quest’inverno essere cool significa abbinare un bel paio di camperos, alti o bassi alla caviglia non importa, con un tubino monacale oppure con una minigonna a balze svolazzanti sulle gambe nude oppure ancora con uno stilosissimo abito a stampa foulard. È già da questa estate che si vedono abbinati a tutte le mise. Times are changing, come cantava Bob Dylan, e difatti se un tempo i camperos esigevano una perfetta tenuta Texas, jeans a cinque tasche e camicia oppure i vestitoni hippy & folk oggi gli accostamenti sono anarchici, imprevedibili, spesso con esiti sorprendentemente felici.

Ok, forse avrete già capito che i camperos non mi piacciono. Però… però devo ammettere che hanno una grinta che poche altre scarpe posseggono. Non apprezzo le scarpe che definisco “anemiche”, quelle banali, senza personalità, e certamente i camperos non rientrano in quella categoria. Per di più i modelli di quest’anno, o almeno i più belli, hanno subito una trasmutazione alchemica che li ha liberati dal mood western e ha conferito loro originalità e a volte spettacolarità.

Basti vedere il modello Rodeo di Casadei in cavallino choco e bianco, reso abbagliante da un vero e proprio braccialetto di pietre scintillanti che circonda il gambale oppure i camperos di Emporio Armani con inserti metal che non avrebbero sfigurato su David Bowie ai tempi del suo Ziggy Stardust.

 

                                                        

photo: © Marco Valenti/IMAXTREE.COM

                                              photo: © Matteo Volta/IMAXTREE.COM

 

Ancora più incredibile è il modello di Dsquared2: qui lo stivale è solo suggerito perché il piede è quasi completamente libero, come in un sandalo, il gambale, o meglio, ciò che resta del gambale, ha perso tutta la sua rigidità per diventare sinuoso, le tipiche decorazioni sono sostituite da impunture e piccole borchie e soprattutto il tacco è un stiletto ipersexy. Non so se si possano ancora definire “camperos”, ma so che sono irresistibili.

photo: © DSQUARED2, selected LUISAVIAROMA, www.luisaviaroma.com, image courtesy TRENDFORTREND

 

Più tradizionali, ma ingentiliti da una stampa coccodrillo in diversi colori (non riesco a decidere se mi piace di più il rosa o il giallo) gli stivali cowboy di Fendi che hanno anche addolcito il tacco con un taglio geometrico molto particolare.

photo: © Matteo Valle/IMAXTREE.COM

Sono solo pochi esempi a dimostrare che nel mondo della scarpa non esistono novità in termini assoluti, ma continue reinterpretazioni di modelli intramontabili.

Voglio però chiudere la mia rapida “cavalcata” (parlando di camperos il termine non è così campato per aria!) tra i vari modelli di questo stivale con una storia. Sapete già che mi piace raccontare di brand che hanno uno spessore culturale perché mi sembra che altrimenti il mondo del fashion si ridurrebbe a poco più che a un asservimento agli umori del mercato anziché sforzarsi di arricchire il mercato stesso di contenuto.

Il mio racconto si incentra su un marchio, Each X Other, di cui mi aveva colpito un modello di camperos nel quale si fondevano in modo assolutamente naturale dettagli della tradizione e dettagli innovativi come il tacco a stiletto e la decorazione della punta e del gambale. Sì, era senz’altro un camperos a tutti gli effetti, ma era anche una sua rielaborazione fantasiosa nel rispetto della tradizione.

photo:© Matteo Volta/IMAXTREE.COM

Mi sono incuriosita, ho fatto ricerche e ho scoperto che dietro a quella scarpa c’era un brand straordinario.

Each X Other o Each Other è nato nel 2012 dall’incontro tra il fashion designer Ilan Delouis e la gallerista Jenny Mannerheim: il know how, l’esperienza e le convinzioni di questi due personaggi si sono fusi in un marchio che vuole essere al crocevia tra fashion e arte. Di più ancora, i due hanno voluto creare uno strumento che da un lato renda l’arte più democratica, allargandone la fruizione, e dall’altro riesca a elevare l’industria del fashion. Si trattava, e si tratta, di un approccio quasi rivoluzionario, perché il brand lavora come farebbe una casa editrice o una galleria: realizza ed elargisce contenuti culturali attraverso abiti e accessori anziché attraverso un libro o una mostra. In pratica, ogni collezione ha dietro sé un artista che collabora con il team del brand nella creazione del moodboard della collezione stessa. Successivamente l’artista sceglie i tessuti e i materiali che costituiranno la materia prima della collezione e, infine, la linea artistica e grafica che la caratterizzerà. È un processo che spinge gli artisti a usare i vestiti come un pittore userebbe la tela, un mezzo per esprimere la propria visione creativa e il risultato, nell’idea di Mannerheim e Delouis, è cultura nel senso contemporaneo del termine. Tanto per fare un esempio, la collezione SS 2019 ha visto la collaborazione con Alina Birkner, un’artista tedesca che nei suoi lavori fonde luce e colori ottenendo sfumature di estrema delicatezza e nel contempo quasi vibranti, gli stessi arcobaleni che si dispiegano nelle giacche, nei pantaloni e negli abiti di Each Other della prossima stagione.

Questo è il modo di fare moda che mi piace perché è intelligente e si rivolge al pubblico con rispetto: chi compra un capo di Each Other non è considerato un portafogli da aprire, ma una mente a cui offrire pensieri. Non è più bello così?

photo di apertura: ©2015 Rick Stufflebean